L’euro ci sta rovinando: adesso lo dice anche l’FMI
di Thomas Fazi.
In un recente articolo l’economista capo del Fondo monetario internazionale (FMI), Gita Gopinath, illustra i risultati di un paio dei loro recenti studi che cercano di determinare quale sia il mix ottimale di politiche macroeconomiche per far fronte ad una crisi.
Il primo studio conclude che:
(i) la flessibilità del tasso di cambio rimane lo strumento ottimale per far fronte alla volatilità dei mercati; questo anche in presenza di debiti pubblici e/o privati in valuta estera, i quali, quando la valuta si deprezza, diventano più difficili da ripagare;
(ii) gli Stati dovrebbero limitare tale indebitamento in valuta estera proprio per ridurre questo rischio utilizzando dei controlli sui capitali in entrata (cioè limitando la quantità e controllando la direzione dei capitali esteri che entrano nel paese);
(iii) qualora la crisi si acuisse e queste misure prudenziali non fossero sufficienti a prevenire una pressione al rialzo sui tassi di interesse (che farebbe rallentare ulteriormente l’economia), lo Stato dovrebbe ricorrere all’intervento diretto sul tasso di cambio (cioè dovrebbe ulteriormente controllare i flussi di capitali per limitare la volatilità del tasso di cambio).
Il secondo studio si pone la domanda di come mantenere l’indipendenza della politica monetaria di fronte ad un aumento indesiderabile del tasso di inflazione. È una questione annosa, ma l’argomentazione a grandi linee è la seguente: uno Stato debole/emergente/piccolo che lascia il proprio tasso di cambio libero di fluttuare e soprattutto che sceglie di attuare una politica di bilancio espansiva (magari, non sia mai, addirittura “monetizzando” la spesa pubblica), vedrebbe inevitabilmente deprezzare il proprio tasso di cambio, il che produrrebbe automaticamente inflazione.
Ora, come abbiamo visto in un recente articolo, si tratta di un argomento fallace: diverse economie emergenti, tra cui diversi paesi europei che non hanno aderito all’euro – Polonia, Romania, Ungheria, Croazia, Messico, Colombia, Indonesia ecc. –, in risposta alla pandemia, hanno fatto ricorso a una politica di monetizzazione dei disavanzi senza incorrere in nessuno degli scenari apocalittici che vengono solitamente paventati in questo caso.
Tuttavia, il Fondo parte dall’assunto che questo possa essere vero, soprattutto in paesi emergenti che non riescono bene ad «ancorare le prospettive di inflazione». La cosa interessante, tuttavia, è che la soluzione proposta dal Fondo è, anche in questo caso, di adottare controlli ai movimenti di capitali e fare interventi diretti sul tasso di cambio, per recuperare appieno l’indipendenza di politica monetaria.
E lo fanno senza incorrere in nessuna delle conseguenze catastrofiche a cui ci dicono che andrebbe incontro l’Italia se facesse la stessa cosa (nei paesi in questione non abbiamo assistito a nessun deprezzamento drastico del tasso di cambio e l’inflazione rimane bassa e stabile praticamente ovunque, ci ricordano gli autori dello studio). Anzi, seguire le nuove direttive dell’FMI sta permettendo a questi paesi di recuperare quella autonomia economica e politica che l’imposizione del “vincolo esterno” del debito estero per lungo tempo gli aveva sottratto. E che potremmo recuperare anche noi, abbandonando quella “barbara reliquia” che è l’euro e tornando a fare quello che, banalmente, già fanno praticamente tutti i paesi del mondo.
Ringrazio l’amico Mirco Tomasi per lo spunto e per un suo recente post da cui ho attinto a mani basse!
Commenti
Posta un commento