Mario Monti killer della sanità, va guidare la commissione paneuropea dell’Organizzazione mondiale della Sanità.Complimenti.




Mario Monti killer della sanità, va guidare la commissione paneuropea dell’Organizzazione mondiale della Sanità.Complimenti.

di Alfredo d'Ecclesia

Il killer della sanità Mario Monti va a spiegare all’Oms che la salute deve contare di più,certo che siamo un grande laboratorio,un esempio da seguire e imitare,invece di farlo dimettere da senatore a vita,invece di denunciarlo per alto tradimento il signorino Mario Monti viene premiato legittimato,gli danno parola mentre a tutti i cittadini la parola viene tolta.
Non dimentichiamo che il professore prima di essere nominato premier si è fatto nominare senatore a vita ben consapevole delle porcate che doveva fare.
Alfredo d’Ecclesia

Questa è l’intervista che rilascia a Repubblica

Mario Monti: "Vado all’Oms per spiegare che la salute deve contare di più"

Mia intervista a Francesco Manacorda
"Repubblica", 13 agosto 2020

Professor Monti, il tribunale dei social l’ha già condannata: non può essere lei, ex premier fautore dell’austerità, a guidare la commissione paneuropea dell’Organizzazione mondiale della Sanità che dovrà ripensare le priorità politiche dopo la pandemia. Cosa risponde?

«Questo compito - inatteso, non remunerato, difficile ma credo importante - mi è stato affidato dall’Oms-Regione europea, che rappresenta 53 Stati: non solo quelli della Ue ma tanti altri, dalla Russia alla Turchia a Israele. Questo ci dà l’idea di quanto contano certi social italiani, temuti o cavalcati dai nostri politici: zero. Piuttosto, sono grato al ministro Speranza che nel rallegrarsi per questo incarico mi ha assicurato l’appoggio suo e del suo team, di cui avrò certo bisogno. Una parte degli italiani, agitata da quei social, mi vede come fautore dell’austerità per partito preso, sempre e comunque. Negli altri Paesi, ricordano semmai il mio governo come quello che ha evitato agli italiani di finire come i greci».

Come nasce il suo incarico?

«L’Oms ha deciso di creare questa commissione indipendente, con scienziati, esperti di sistemi sanitari, economisti e persone con esperienza politica, per esaminare come i diversi Paesi hanno reagito all’emergenza Covid-19 e per formulare raccomandazioni per migliorare la risposta dei sistemi sanitari e di assistenza sociale se si dovessero verificare altri casi simili».

Cioè come evitare di trovare di nuovo reparti di rianimazione pieni e sistemi sanitari vicini al collasso?

«Anche, ma non solo. Di questa commissione è importante non solo il titolo, "Salute e sviluppo sostenibile", ma forse ancor più il sottotitolo "Ripensare le priorità politiche alla luce delle pandemie".
Dovremo dare indicazioni a cavallo tra economia e politica, e soprattutto guardando avanti, anche perché i governi possano indirizzare la spesa pubblica in modo da rendere più efficiente la risposta ad eventi simili a questa pandemia».

Ossia direte ai governi di spendere di più sulla Sanità?

«Ovviamente una commissione che non si è ancora riunita non ha alcuna indicazione da dare. Ma quel che è certo è che la salute dovrà pesare di più nelle scelte politiche, se vogliamo evitare crisi che – oltre al loro tragico effetto sulle vite delle persone – rischiano di costare un multiplo delle cifre che si potrebbero stanziare per prevenirle o attenuarne la portata devastante. Riflessioni analoghe dovremo fare per il cambiamento climatico in corso, che potrebbe manifestarsi in modi catastrofici in momenti imprevisti, e che secondo alcuni è a sua volta concausa delle pandemie».

Gli Stati stanno spendendo dappertutto, a dire il vero. La spesa pubblica è tornata sovrana.

«Ed è giusto che sia così in una fase di emergenza. Quello che mi preoccupa, però, è che si è entrati in un mondo del debito e del disavanzo che ha conseguenze molto pesanti dal punto di vista economico ma anche culturale: si rischia di pensare che debito e disavanzo siano condizioni naturali e permanenti, si trasformino quasi in una virtù, mentre come è ovvio non è così».

Quindi quali azioni ci vogliono?

«Serve prima di tutto consapevolezza. È difficile attuare politiche che contrastino il cambiamento climatico ed è più facile promettere che il prossimo anno le tasse caleranno. Peccato che se si deve investire sulla salute e sulla difesa dell’ambiente difficilmente si potrà spendere di meno e difficilmente si potranno ridurre le tasse, a meno di non fare scelte precise in altri settori di spesa».

Oggi un politico che si presentasse con un grande piano di investimenti sulla Sanità avrebbe successo, secondo lei?

«Questo è uno dei problemi, in tutti i Paesi democratici. Politiche di questo genere non hanno un dividendo elettorale immediato. Nel settore i tempi sono lunghi, mentre l’orizzonte della democrazia diventa sempre più breve, anche per la rivoluzione in corso nei media e nei social media. E poi c’è un tema di spazio».

In che senso?

«La pandemia ci ha insegnato che per affrontarla serve un approccio il più possibile multilaterale e cooperativo tra Paesi. Ma intanto alcuni Paesi, in tutto il mondo, diventano più nazionalisti e rendono ancora più difficile questo coordinamento».

Anche in Italia soffiano venti di nazionalismo. Il Recovery Fund è probabilmente un successo, ma sapremo spendere – e rimborsare – i suoi finanziamenti? E del Mes possiamo fare a meno?

«Per quel che riguarda il Recovery Fund - ovviamente mi esprimo ora a titolo personale, non certo come presidente della nuova commissione Oms - c’è il rischio che non si sappia come spendere masse ingenti di denaro in tempi relativamente brevi e in modo che aumenti la capacità produttiva e di conseguenza il gettito fiscale con il quale pagare gli interessi e rimborsare il debito. Peggio ancora, si rischia che gli italiani sviluppino una certa assuefazione all’assistenza: ora sono sospesi tutti i vincoli europei, ma questa sospensione non significa – come pensano alcuni settori dell’opinione pubblica in Italia o in Francia – un riconoscimento di "colpe" precedenti da parte dell’Ue. Temo che quando le regole europee verranno ripristinate, dopo essere state riformate alla luce dell’esperienza, si rischi anche la stabilità psicologica di chi oggi le considera abolite per sempre».

E il Mes?

«Nella condizione che caratterizza l’Italia sui mercati considero poco responsabile rinunciare al Mes per motivi mai spiegati e che stanno tra l’ideologia, la mistica e la falsa ricostruzione storica. Inoltre, mi pare difficile che vi si possa rinunciare anche per quello che dicevo prima a proposito dei dividendi elettorali. Il ministro della Salute Speranza ha già indicato spese necessarie nel suo settore per oltre 20 miliardi. Dubito che il sistema politico italiano, ormai specializzato in spesa pubblica corrente e in particolare in concessione di bonus che hanno un immediato ritorno in termini elettorali, abbia la forza di fare investimenti di questo tipo. A quel punto il Mes potrebbe tornare utile perché l’unica sua condizionalità, che i fondi vadano direttamente o indirettamente a progetti legati alla salute, potrebbe supplire alla volontà politica un po’ cedevole».


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