Le origini del SARS-CoV-2 – Alla ricerca delle tracce

 

Nicholas Wade
nicholaswade.medium.com

La pandemia Covid-19 sta sconvolgendo la vita di tutto il mondo da oltre un anno. Il  bilancio dei decessi raggiungerà presto i tre milioni di persone. Eppure, l’origine della pandemia rimane incerta: le agende politiche di governi e scienziati hanno generato dense cortine fumogene che la stampa mainstream sembra incapace di dissipare.

In questo articolo farò una cernita dei fatti scientifici disponibili, che contengono molti indizi su ciò che è successo, e fornirò ai lettori le prove necessarie per poter formulare un proprio giudizio. Cercherò poi di valutare la complessa questione della colpa, che inizia con, ma va ben oltre, il governo cinese.

Alla fine di questo articolo, potreste aver imparato molto sulla biologia molecolare dei virus. Cercherò di mantenere questo processo di apprendimento il più indolore possibile, ma l’approfondimento scientifico non può essere evitato perché, per ora e probabilmente per molto tempo ancora, sarà l’unico filo di Arianna a nostra disposizione per attraversare questo labirinto.

Il virus che ha causato la pandemia è conosciuto ufficialmente come SARS-CoV-2, ma, per brevità, può anche essere chiamato SARS2. Come molti sanno, esistono due teorie principali sulla sua origine. Una è che sia passato in modo naturale dalla fauna selvatica all’uomo. L’altra è che il virus sarebbe oggetto di studio in qualche laboratorio, da cui sarebbe fuoriuscito accidentalmente. È importante sapere quale sia il caso, se vogliamo essere in grado di prevenire un secondo evento del genere.

Descriverò le due teorie, spiegherò perché ognuna di esse è plausibile, e poi valuterò quale delle due fornisce la migliore spiegazione dei fatti conosciuti. È importante notare che, finora, non esistono prove dirette a favore di nessuna delle due teorie. Ognuna dipende da una serie di congetture logiche, ma, a tutt’oggi, manca la prova decisiva. Perciò posso offrire solo indizi, non conclusioni. Ma questi indizi puntano in una direzione ben precisa. E, avendo dedotto questa direzione, andrò a dipanare alcuni dei fili di questa intricata e tragica matassa.

Una storia con due teorie

Dopo lo scoppio della pandemia, nel dicembre 2019, le autorità cinesi avevano riferito che molti casi si erano verificati nel mercato umido, dove si vende carne di animali selvatici, di Wuhan. Questo fatto aveva ricordato agli esperti l’epidemia di SARS1 del 2002, quando un virus dei pipistrelli si era diffuso prima agli zibetti, un animale venduto nei mercati umidi, e poi dagli zibetti all’uomo. Nel 2012, un analogo virus dei pipistrelli aveva causato una seconda epidemia, nota come MERS. Quella volta, l’animale a fare da ospite intermedio era stato il cammello.

La decodifica del genoma virale aveva mostrato che [il virus del 2019] apparteneva ad una famiglia virale nota come beta-coronavirus, alla quale appartengono anche i virus SARS1 e MERS. Quella correlazione aveva avallato l’idea che, anche questa volta, si trattasse di un virus naturale che era riuscito a compiere il balzo dai pipistrelli, attraverso un altro animale ospite, fino all’uomo. La connessione con il mercato umido, l’unico altro punto di somiglianza con le epidemie di SARS1 e MERS, si è era però presto interrotta: i ricercatori cinesi avevano trovato a Wuhan casi precedenti, senza alcun legame con il mercato umido. Ma questo sembrava non avere importanza, perchè si pensava che, a breve, sarebbero arrivate molte altre prove a sostegno dell’origine naturale.

Wuhan, tuttavia, è la sede del Wuhan Institute of Virology, un centro di importanza mondiale per la ricerca sui coronavirus. Quindi, non si poteva escludere la possibilità che il virus SARS2 fosse fuoriuscito da questo laboratorio. Erano perciò possibili due ragionevoli scenari sull’origine del virus.

Fin dall’inizio, l’opinione pubblica e quella dei media erano state indirizzate a favore dello scenario dell’emergenza naturale dalle dichiarazioni, senza mezzi termini, di due gruppi di scienziati, dichiarazioni che, inizialmente, non erano state esaminate con il dovuto senso critico.

Ci uniamo per condannare fermamente le teorie della cospirazione, secondo cui COVID-19 non avrebbe un’origine naturale,” aveva scritto su Lancet un gruppo di virologi, insieme ad altri, il 19 febbraio 2020, quando era veramente troppo presto perché qualcuno potesse essere sicuro di cosa fosse successo. Gli scienziati concludevano, senza mezzi termini, che “questo coronavirus ha avuto origine nella fauna selvatica” e lanciavano un emozionante appello ai lettori affinchè dimostrassero la loro solidarietà con i colleghi cinesi in prima linea nella lotta contro la pandemia.

Contrariamente all’affermazione degli autori della lettera, l’idea che un virus possa essere fuoriuscito da un laboratorio evoca un incidente, non una cospirazione. Sicuramente, l’ipotesi doveva essere esplorata, non respinta a priori. Un segno distintivo dei buoni scienziati è che si preoccupano di distinguere tra ciò che sanno e ciò che non sanno. Secondo questo criterio, i firmatari della lettera su Lancet si stavano comportando come scienziati scadenti: assicuravano il pubblico su fatti che non potevano sapere con certezza essere veri.

Si è poi scoperto che questa lettera era stata voluta e redatta da Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance di New York. L’organizzazione del dottor Daszak aveva finanziato la ricerca sui coronavirus all’Istituto di virologia di Wuhan. Se il virus SARS2 fosse effettivamente sfuggito da un laboratorio di ricerca da lui finanziato, il dottor Daszak ne sarebbe stato potenzialmente responsabile. Questo stridente conflitto di interessi non era stato dichiarato ai lettori del Lancet. Al contrario, la lettera concludeva: “Non dichiariamo alcun interesse contrastante.

Peter Daszak, presidente della EcoHealth Alliance

Per i virologi come il dottor Daszak, l’attribuzione della colpa della pandemia è una questione di importanza capitale. Per 20 anni, per lo più sotto gli occhi del pubblico, [questi virologi] hanno giocato un gioco pericoloso. Nei loro laboratori hanno continuato a creare virus più pericolosi di quelli che esistono in natura. Hanno sempre sostenuto di poterlo fare in modo sicuro, e che, anticipando la natura, sarebbero stati in grado di prevedere e prevenire lo “spillover” naturale, il salto interspecie dei virus da un ospite animale all’uomo. Se il SARS2 fosse davvero fuoriuscito da un simile esperimento di laboratorio [e la cosa si fosse risaputa] ci sarebbe sicuramente stata una forte reazione negativa a livello popolare e l’ondata di indignazione pubblica avrebbe colpito i virologi ovunque, non solo in Cina. “Avrebbe distrutto l’edificio scientifico da cima a fondo,” aveva affermato un redattore del MIT Technology Review, Antonio Regalado, nel marzo 2020.

Una seconda dichiarazione, che aveva avuto un’enorme influenza nel plasmare l’atteggiamento del pubblico, era stata una lettera (in altre parole un pezzo di opinione, non un articolo scientifico) pubblicata il 17 marzo 2020 sulla rivista Nature Medicine. Gli autori erano un gruppo di virologi guidati da Kristian G. Andersen, dello Scripps Research Institute. “Le nostre analisi mostrano chiaramente che il SARS-CoV-2 non è un costrutto di laboratorio o un virus manipolato di proposito,” avevano dichiarato i cinque virologi nel secondo paragrafo della loro lettera.

Kristian G. Andersen, Scripps Research

Purtroppo, questo era stato un altro caso di scienza scadente, nel senso definito sopra. È vero, alcuni vecchi metodi di taglia e incolla dei genomi virali conservano i segni rivelatori della manipolazione. Ma i metodi più recenti, chiamati approcci “no-see-um” o “seamless” non lasciano segni permanenti. Né lo fanno altri metodi di manipolazione virale, come il passaggio seriale, il trasferimento ripetuto di virus da una cultura di cellule ad un’altra. Se un virus è stato manipolato, sia con un metodo senza soluzione di continuità che con il passaggio seriale, non c’è modo di saperlo. Il Dr. Andersen e i suoi colleghi stavano assicurando i loro lettori di qualcosa di cui non potevano essere certi.

La parte di discussione della loro lettera esordisce così: “è improbabile che il SARS-CoV-2 sia emerso attraverso la manipolazione in laboratorio di un coronavirus affine al SARS-CoV.” Ma aspettate, il tema di fondo non era forse che gli autori erano ‘chiaramente‘ certi che il virus non fosse stato manipolato? Il grado di certezza degli autori sembra ridursi notevolmente al momento di esporre il loro ragionamento.

La ragione di questo slittamento è chiara una volta superato lo scoglio del linguaggio tecnico. Le due ragioni fornite dagli autori per supporre che la manipolazione fosse un evento improbabile sono decisamente inconcludenti.

In primo luogo, affermano che la proteina spike del SARS2 si lega molto bene al suo bersaglio, il recettore umano ACE2, ma lo fa in un modo diverso da quello che i calcoli matematici suggerirebbero essere il migliore. Quindi, [secondo gli autori] il virus deve per forza essersi sviluppato per selezione naturale, non per manipolazione.

Se questo argomento sembra difficile da afferrare, è perché è tirato per i capelli. L’ipotesi di base degli autori, non esplicitata, è che chiunque cerchi di far legare un virus di pipistrello alle cellule umane potrebbe farlo in un solo modo. Per prima cosa si dovrebbe calcolare la modalità di aggancio più efficiente possibile tra il recettore umano ACE2 e la proteina spike che il virus utilizza per il legame. Di conseguenza, bisognerebbe poi progettare una proteina spike adatta (selezionando la giusta stringa di unità aminoacidiche che la compongono). Ma, poiché la proteina spike del SARS2 non ha questo design ottimizzato al computer, secondo l’articolo di Andersen, non può essere stata manipolata.

Ma questo ragionamento ignora il modo in cui i virologi ottengono, in pratica, che le proteine spike si leghino ai bersagli scelti, e questo non viene fatto con un assemblaggio computerizzato, ma tramite l’inserimento [nel genoma virale] di geni di proteine spike provenienti da altri virus o tramite il passaggio seriale. Con il passaggio seriale, ogni volta che la progenie del virus viene trasferita su nuove colture cellulari o animali, vengono selezionate quelle che hanno più successo, finché non ne emerge una che si lega veramente bene alle cellule prescelte. In questo caso è la selezione naturale a fare tutto il lavoro pesante. L’ipotesi nell’articolo di Andersen sulla progettazione di una proteina spike virale tramite modellazione computerizzata non tiene conto che il virus potrebbe essere stato manipolato con uno degli altri due metodi.

Il secondo argomento degli autori contro la manipolazione è ancora più artificioso. Anche se la maggior parte degli esseri viventi usa il DNA come materiale ereditario, un certo numero di virus usa l’RNA, il parente chimico stretto del DNA. Ma l’RNA è difficile da manipolare, così i ricercatori che lavorano sui coronavirus, che sono basati sull’RNA, convertono prima il genoma RNA in DNA. Manipolano la versione del DNA, aggiungendo o alterando i geni, e poi fanno in modo che il genoma di DNA manipolato sia riconvertito in RNA infettivo.

Solo un certo numero di queste “spine dorsali” [backbone] di DNA sono descritte nella letteratura scientifica. Chiunque abbia manipolato il virus SARS2 avrebbe “probabilmente” usato uno di questi backbone conosciuti, scrive il gruppo Andersen e quindi, visto che il SARS2 non deriva da nessuno di essi, non è stato manipolato. Ma l’argomento è palesemente inconcludente. I backbone di DNA sono abbastanza facili da realizzare, quindi è assolutamente possibile che il SARS2 sia stato manipolato usando un backbone di DNA inedito.

Tutto qui. Questi sono i due argomenti del gruppo Andersen a sostegno della loro dichiarazione secondo cui il virus SARS2, ‘chiaramente,’ non sarebbe stato manipolato. E questa asserzione, fondata solo su due inconcludenti speculazioni, aveva convinto la stampa mondiale che il SARS2 non poteva essere sfuggito da un laboratorio. Una critica tecnica della lettera di Andersen smonta la tesi in termini ancor più severi.

Si suppone che la scienza sia una comunità autocorrettiva di esperti che controllano costantemente il lavoro dei colleghi. Allora, perché gli altri virologi non avevano fatto notare che la tesi del gruppo di Andersen faceva acqua da tutte le parti? Forse perché, oggi, nelle università un discorso del genere può essere molto pericoloso. Si possono distruggere intere carriere, solo per aver fatto un passo falso. Ogni virologo che sfidi il punto di vista ufficiale della comunità rischia di vedersi rifiutare una futura richiesta di sovvenzione dal panel dei colleghi virologi a cui si appoggia l’agenzia governativa incaricata della distribuzione delle sovvenzioni.

Le lettere di Daszak e Andersen erano, in realtà, dichiarazioni politiche, non scientifiche, eppure erano state incredibilmente efficaci. Gli articoli della stampa tradizionale avevano ripetutamente affermato che un consenso di esperti aveva escluso l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio o che la consideravano estremamente improbabile. I giornalisti si erano basati per la maggior parte sulle lettere di Daszak e Andersen, non riuscendo a capire le enormi lacune nelle loro argomentazioni. Tutti i giornali tradizionali hanno giornalisti scientifici nei loro staff, così come i principali network, e questi giornalisti specializzati dovrebbero essere in grado di interrogare gli scienziati e controllare le loro affermazioni. Ma le affermazioni di Daszak e Andersen erano rimaste ampiamente incontestate.

Dubbi sull’emergenza naturale

L’emergenza naturale è stata la teoria preferita dai media fino al febbraio 2021 e alla visita di una commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Cina. La composizione e l’accesso della commissione erano stati pesantemente controllati dalle autorità cinesi. I suoi membri, tra cui l’onnipresente Dr. Daszak, avevano continuato ad affermare prima, durante e dopo la loro visita [in Cina] che l’ipotesi della fuga dal laboratorio era estremamente improbabile. Ma questa non era proprio la vittoria propagandistica che le autorità cinesi avevano sperato. Quello che era diventato chiaro era che i Cinesi non avevano prove da offrire alla commissione a sostegno della teoria dell’emergenza naturale.

Una cosa del genere era sorprendente perché sia il virus SARS1 che il MERS avevano lasciato copiose tracce nell’ambiente. La specie ospite intermedia del SARS1 era stata identificata dopo quattro mesi dallo scoppio dell’epidemia, e l’ospite del MERS dopo nove mesi. Eppure, 15 mesi dopo l’inizio della pandemia di SARS2, e una ricerca presumibilmente intensa, gli scienziati cinesi non erano riusciti a trovare né la popolazione originale di pipistrelli, né la specie intermedia su cui il SARS2 avrebbe potuto fare il salto, né alcuna prova sierologica che una qualsiasi popolazione cinese, compresa quella di Wuhan, fosse mai stata esposta al virus prima del dicembre 2019. L’emergenza naturale è rimasta una congettura che, per quanto plausibile all’inizio, in oltre un anno non ha guadagnato uno straccio di prova a sostegno.

E, finché le cose rimarranno così, è logico prestare una seria attenzione alla congettura alternativa, che il SARS2 sia fuoriuscito da un laboratorio.

Perché qualcuno vorrebbe creare un nuovo virus capace di causare una pandemia? Da quando i virologi si sono dotati degli strumenti per manipolare il genoma virale, hanno sostenuto di poter anticipare una potenziale pandemia cercando di capire quanto un dato virus animale potrebbe essere vicino a fare il salto sull’uomo. E questo, secondo i virologi, giustificherebbe gli esperimenti di laboratorio per migliorare le capacità di pericolosi virus animali di infettare le persone.

In base a questa logica, hanno ricreato il virus dell’influenza del 1918, fatto vedere come il quasi estinto virus della polio possa essere risintetizzato partendo dalla sequenza del DNA, di pubblico dominio, e introdotto un gene del vaiolo in un virus correlato.

Questi miglioramenti delle capacità virali sono generalmente conosciuti come esperimenti di gain-of-function. Nel caso dei coronavirus, c’è stato un particolare interesse per le proteine spike, quelle che sporgono sulla superficie sferica del virus e determinano praticamente quale specie di animale prenderà di mira il virus. Nel 2000 i ricercatori olandesi, per esempio, si erano guadagnati la gratitudine dei roditori di tutto il mondo ingegnerizzando geneticamente la proteina spike di un coronavirus del topo, in modo che attaccasse solo i gatti.

Le proteine spike sulla superficie del coronavirus determinano quale animale potrà infettare. CDC.gov

I virologi avevano iniziato a studiare seriamente i coronavirus dei pipistrelli dopo che questi si erano rivelati essere la fonte di entrambe le epidemie di SARS1 e MERS. In particolare, i ricercatori volevano capire quali cambiamenti dovevano avvenire nelle proteine spike di un virus di pipistrello prima che potesse arrivare ad infettare l’uomo.

I ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan, guidati dalla principale esperta cinese di virus dei pipistrelli, la dottoressa Shi Zheng-li, la “Bat Lady,” avevano organizzato frequenti spedizioni nelle grotte infestate dai pipistrelli dello Yunnan, nel sud della Cina, e avevano raccolto campioni di un centinaio di coronavirus di pipistrello.

La dottoressa Shi aveva poi collaborato con Ralph S. Baric, un eminente ricercatore sui coronavirus presso l’Università del North Carolina. Il loro lavoro si era concentrato sul miglioramento della capacità dei virus dei pipistrelli di attaccare gli esseri umani, in modo da poter “esaminare il potenziale di emergenza (cioè il potenziale di infettare gli esseri umani) dei CoV [coronavirus] di pipistrello in circolazione.” Nel novembre 2015, per raggiungere questo obiettivo, avevano creato un nuovo virus prendendo la spina dorsale del virus SARS1 e sostituendo la proteina spike con quella di un virus di pipistrello (noto come SHC014-CoV). Questo nuovo virus artificiale [chimerico] era stato in grado di infettare le cellule delle vie aeree umane, almeno quando era stato testato su una cultura in vitro di tali cellule.

Il virus SHC014-CoV/SARS1 è tecnicamente una chimera perché il suo genoma contiene materiale genetico di due ceppi virali diversi. Se il virus SARS2 fosse stato creato nel laboratorio della dottoressa Shi,  il prototipo diretto potrebbe essere stato la chimera SHC014-CoV/SARS1, il cui potenziale pericolo era stato una fonte di preoccupazione per molti osservatori e causa di accese discussioni.

Se questo virus fosse fuoriuscito [dal laboratorio], nessuno avrebbe potuto prevederne la traiettoria,” aveva affermato Simon Wain-Hobson, un virologo dell’Istituto Pasteur di Parigi.

In un loro articolo, il Dr. Baric e la dottoressa Shi avevano fatto riferimento ai rischi evidenti, ma avevano sostenuto che [questi rischi] avrebbero dovuto essere rapportati al beneficio di poter prevenire futuri salti di specie. I comitati di revisione scientifica, avevano scritto [Baric e Shi], “possono ritenere che studi simili, che danno vita a virus chimerici basati su ceppi circolanti, siano troppo rischiosi da perseguire.” Date le varie restrizioni poste sulla ricerca sul guadagno di funzione (GOF), il problema, a loro avviso, erano “le molteplici preoccupazioni sulla ricerca GOF; la possibilità di prepararsi e poter così mitigare le future epidemie deve essere rapportata al rischio di creare agenti patogeni più pericolosi. Nello sviluppo delle politiche future sarà importante considerare il valore dei dati generati da questi studi e se questi studi sui virus chimerici potranno avallare ulteriori indagini, tenendo conto dei rischi intrinseci al procedimento.

Questa dichiarazione era stata fatta nel 2015. Nel 2021, con il senno di poi, possiamo solo dire che il valore degli studi di gain-of-function nella prevenzione dell’epidemia di SARS2 era stato uguale a zero. Era il rischio ad essersi rivelato catastrofico, se davvero il virus SARS2 era stato generato in un esperimento di gain-of-function.

All’interno dell’Istituto di virologia di Wuhan

Il dottor Baric aveva sviluppato e insegnato alla dottoressa Shi un metodo generale per ingegnerizzare i coronavirus di pipistrello e far loro infettare altre specie. I bersagli specifici erano cellule umane coltivate in culture e topi umanizzati. Questi topi di laboratorio, una etica ed economica alternativa ai soggetti umani, sono geneticamente ingegnerizzati con la versione umana di una proteina chiamata ACE2, che si trova sulla superficie delle cellule epiteliali delle vie respiratorie.

La dottoressa Shi era ritornata al suo laboratorio presso l’Istituto di virologia di Wuhan e aveva ripreso il lavoro per ingegnerizzare geneticamente i coronavirus dei pipistrelli e renderli in grado di attaccare le cellule umane.

La dottoressa Zheng-li Shi in un laboratorio ad alta sicurezza (livello BSL4). La sua ricerca sui coronavirus si era però svolta nei laboratori BSL2 e BSL3 con livelli di sicurezza molto più bassi.

 

Come possiamo esserne così sicuri?

Perché, per una strano caso della storia, il suo lavoro era stato finanziato dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), che fa parte del US National Institutes of Health (NIH). E le proposte di sovvenzione per il finanziamento di questo studio, documenti pubblici liberamente consultabili, specificano esattamente ciò che [la dottoressa] aveva pianificato di fare con quei soldi.

Le sovvenzioni erano state assegnate al primo contraente, il dottor Daszak della EcoHealth Alliance, che le aveva poi subappaltate alla dottoressa Shi. Ecco gli estratti delle sovvenzioni per gli anni fiscali 2018 e 2019. “CoV” sta per coronavirus e “proteina S” si riferisce alla proteina spike del virus.

Testare le previsioni della trasmissione interspecie di CoV. I modelli predittivi della gamma di ospiti (cioè il potenziale di emergenza) saranno testati sperimentalmente usando genetica inversa, pseudovirus, saggi di legame del recettore ed esperimenti di infezione virale tramite una serie di colture cellulari di specie diverse e topi umanizzati.”

Useremo i dati di sequenziamento della proteina S, la tecnologia dei cloni infettivi, gli esperimenti di infezione in vitro e in vivo e l’analisi del legame dei recettori per testare l’ipotesi che la percentuale delle soglie di divergenza nelle sequenze della proteina S possa predirre il potenziale di diffusione.”

Ciò che significa, in un linguaggio non tecnico, è che la dottoressa Shi aveva deciso di creare nuovi coronavirus dotati della massima infettività possibile per le cellule umane. Il suo piano era di scegliere geni che codificano per le proteine spike che avessero una gamma nota di affinità per le cellule umane, da alta a bassa. Avrebbe inserito questi geni spike, uno per uno, nella spina dorsale di un certo numero di genomi virali (“genetica inversa” e “tecnologia del clone infettivo“), creando una serie di virus chimerici. Questi virus chimerici sarebbero stati poi testati per la loro capacità di attaccare colture di cellule umane (“in vitro“) e topi umanizzati (“in vivo“). E queste informazioni avrebbero aiutato a prevedere la probabilità di “spillover,” il salto di un coronavirus dal pipistrello all’uomo.

Questo metodico approccio era stato progettato per trovare la migliore combinazione fra backbone e proteina spike in grado di infettare le cellule umane. L’approccio potrebbe aver generato virus simili al SARS2 e, in effetti, potrebbe aver creato il virus SARS2 stesso, con la giusta combinazione di spina dorsale virale e di proteina spike.

Non si può ancora affermare che la dottoressa Shi abbia generato o meno il SARS2 nel suo laboratorio, perché la sua documentazione scientifica è stata secretata, ma sembra che fosse certamente sulla strada giusta per farlo. “È chiaro che il Wuhan Institute of Virology stava sistematicamente costruendo nuovi coronavirus chimerici e stava valutando la loro capacità di infettare le cellule umane e i topi che esprimono l’ACE2,” dice Richard H. Ebright, un biologo molecolare della Rutgers University e uno dei principali esperti di biosicurezza.

È anche chiaro,” aggiunge il dottor Ebright “che, a seconda dei contesti genomici invarianti scelti per l’analisi, questo lavoro potrebbe aver prodotto il SARS-CoV-2 o un progenitore prossimale del SARS-CoV-2.” Il termine “contesto genomico” si riferisce al particolare backbone virale usato come banco di prova per la proteina spike.

Lo scenario della fuoriuscita dal laboratorio per l’origine del virus SARS2, come dovrebbe essere ormai evidente, non è un generico atto d’accusa contro l’Istituto di virologia di Wuhan. È un’ipotesi dettagliata, basata su uno specifico progetto finanziato dal NIAID proprio in quella sede.

Anche se la sovvenzione richiedeva il piano di lavoro appena descritto, come possiamo essere sicuri che questo progetto sia stato effettivamente portato a termine? Per questo possiamo solo dar credito alle parole del dottor Daszak, che, negli ultimi 15 mesi, non ha perso occasione per ribadire che la fuoriuscita del virus dal laboratorio altro non sarebbe che una ridicola teoria del complotto alimentata dall’odio anti-cinese.

Però, il 9 dicembre 2019, prima che si sapesse dello scoppio della pandemia, il dottor Daszak aveva rilasciato un’intervista in cui aveva discusso con molto calore di come i ricercatori dell’Istituto di virologia di Wuhan avessero riprogrammato la proteina spike e generato coronavirus chimerici in grado di infettare topi umanizzati.

“E ora abbiamo trovato, sapete, dopo 6 o 7 anni di lavoro, oltre 100 nuovi coronavirus legati al SARS, molto vicini al SARS,” dice il dottor Daszak al minuto 28 dell’intervista. “Alcuni di questi entrano nelle cellule umane in vitro, alcuni di loro possono causare la SARS in modelli di topi umanizzati e non sono trattabili con [anticorpi] monoclonali terapeutici e non ci si può vaccinare contro di loro usando un vaccino. Questi virus sono quindi un vero e proprio pericolo….

Intervistatore: Lei afferma che questi sono coronavirus diversi e che non ci si può vaccinare contro di loro e che non ci sono trattamenti antivirali, quindi, cosa facciamo?

Daszak: Beh, penso che… i coronavirus si possano manipolare in laboratorio abbastanza facilmente. La proteina spike è essenziale per il comportamento dei coronavirus, per il rischio zoonotico. Quindi si può ottenere la sequenza, si può costruire la proteina, e lavoriamo molto con Ralph Baric alla UNC per arrivare a questo. Inserirla nella spina dorsale di un altro virus e fare del lavoro in laboratorio. Così si può diventare più predittivi quando si trova una sequenza. Hai questa diversità. Ora la progressione logica per i vaccini è, se bisogna sviluppare un vaccino per il SARS, [i fabbricanti di vaccini] useranno il virus SARS pandemico, ma potremmo inserirvi alcune di queste altre cose e otterremo un vaccino migliore.” Gli inserimenti a cui aveva fatto riferimento forse riguardavano un elemento chiamato sito di scissione della furina, discusso in seguito, che aumenta notevolmente l’infettività virale per le cellule umane.

In stile disarticolato, il dottor Daszak si riferisce al fatto che una volta generato un nuovo coronavirus che può attaccare le cellule umane, si può prendere la proteina spike e farne la base per un vaccino.

Si può solo immaginare la reazione del dottor Daszak quando, pochi giorni dopo, aveva saputo dello scoppio dell’epidemia a Wuhan. Infatti, conosceva meglio di chiunque altro l’obiettivo dell’Istituto di Wuhan di rendere i coronavirus di pipistrello infettivi per gli esseri umani, così come sapeva dello scarso livello di sicurezza dell’istituto, che non sarebbe stato in grado di prevenire l’infezione dei propri ricercatori.

Ma, invece di fornire alle autorità sanitarie pubbliche le abbondanti informazioni a sua disposizione, aveva immediatamente lanciato una campagna di pubbliche relazioni per convincere il mondo che l’epidemia non poteva essere stata causata da uno dei virus potenziati dell’istituto. “L’idea che questo virus sia fuoriuscito da un laboratorio è una pura sciocchezza. Non è semplicemente vero,” aveva dichiarato in un’intervista dell’aprile 2020.

Le misure di sicurezza all’Istituto di virologia di Wuhan

Il dottor Daszak forse non era a conoscenza, o forse conosceva fin troppo bene, la lunga storia dei virus sfuggiti anche dai laboratori meglio gestiti. Il virus del vaiolo era scappato tre volte dai laboratori inglesi negli anni ’60 e ’70, causando 80 casi e 3 morti. Da allora, virus pericolosi sono fuoriusciti dai laboratori quasi ogni anno. Venendo a tempi più recenti, il virus SARS1 si era dimostrato un vero artista della fuga, evadendo dai laboratori di Singapore, Taiwan e, almeno quattro volte, dall’Istituto Nazionale Cinese di Virologia di Pechino

Uno dei motivi per cui il SARS1 era stato così difficile da gestire è che non esistevano vaccini disponibili per proteggere il personale di laboratorio. Come il Dr. Daszak aveva ribadito nella sua intervista del 19 dicembre, citata in precedenza, anche i ricercatori di Wuhan non erano stati in grado di sviluppare vaccini contro i coronavirus che stavano progettando per infettare le cellule umane. Sarebbero stati indifesi contro il virus SARS2, se questo fosse stato sviluppato nel loro laboratorio, proprio come i loro colleghi di Pechino contro il SARS1.

Una seconda ragione del grave pericolo rappresentato dai nuovi coronavirus è relativo ai livelli di sicurezza previsti per i laboratori. Ci sono quattro gradi di sicurezza, da BSL1 a BSL4, e il BSL4 è il più restrittivo ed è appositamente indicato per gli agenti patogeni mortali, come il virus Ebola.

L’Istituto di virologia di Wuhan aveva un nuovo laboratorio BSL4, ma le sue condizioni operative avevano notevolmente allarmato gli ispettori del Dipartimento di Stato dell’ambasciata americana a Pechino, che lo avevano visitato nel 2018. “Il nuovo laboratorio ha una grave carenza di tecnici e di ricercatori adeguatamente formati, necessari per operare in sicurezza in questo laboratorio ad alto grado di contenimento,” avevano scritto gli ispettori in un cablogramma del 19 gennaio 2018.

Il vero problema, tuttavia, non era lo stato poco sicuro del laboratorio BSL4 di Wuhan, ma il fatto che ai virologi di tutto il mondo non piace lavorare in condizioni BSL4. Devi indossare una tuta spaziale, operare in contenitori chiusi e dare per scontato che ogni operazione richieda il doppio del tempo. Di conseguenza, le regole che assegnavano un determinato tipo di virus ad un livello di sicurezza appropriato erano più permissive di quanto, secondo alcuni, dettasse la prudenza.

Prima del 2020, le regole seguite dai virologi in Cina e altrove richiedevano che gli esperimenti con i virus SARS1 e MERS fossero condotti in condizioni BSL3. Ma tutti gli altri coronavirus di pipistrello potevano essere studiati in BSL2, il livello appena sotto. BSL2 richiede l’adozione di precauzioni di sicurezza minimali, come indossare camici da laboratorio e guanti, non travasare liquidi succhiandoli con la pipetta e mettere cartelli di avvertimento di rischio biologico. Eppure, un esperimento di gain-of-function condotto in condizioni BSL2 potrebbe produrre un agente più infettivo del SARS1 o del MERS. E, se così fosse, il personale di laboratorio avrebbe un’alta probabilità di essere infettato, specialmente se non vaccinato.

Gran parte del lavoro della dottoressa Shi sul guadagno di funzione nei coronavirus era stato eseguito a livello di sicurezza BSL2, come lei stessa aveva dichiarato nelle sue pubblicazioni e in altri documenti. Aveva affermato in un’intervista con la rivista Science che “la ricerca sui coronavirus nel nostro laboratorio è condotta in laboratori BSL-2 o BSL-3.

E’ chiaro che tutto, o parte, di questo lavoro era stato eseguito utilizzando uno standard di biosicurezza, il livello di biosicurezza 2, quello di un normale studio dentistico statunitense, cosa che avrebbe comportato un rischio inaccettabilmente alto di infezione per il personale di laboratorio, se esposto al contatto con un virus con le proprietà di trasmissibilità del SARS-CoV-2,” dice il dottor Ebright.

È anche chiaro,” aggiunge, “che questo lavoro non avrebbe mai dovuto essere finanziato e non avrebbe mai dovuto essere eseguito.”

Questo è un punto di vista su cui non transige, indipendentemente dal fatto che il virus SARS2 abbia, o non abbia, mai visto l’interno di un laboratorio.

La preoccupazione per le condizioni di sicurezza del laboratorio di Wuhan non era, a quanto pare, fuori luogo. Secondo un documento informativo emesso dal Dipartimento di Stato il 15 gennaio 2021, “Il governo degli Stati Uniti ha ragione di credere che diversi ricercatori all’interno del WIV si siano ammalati nell’autunno 2019, antecedentemente al primo caso epidemico riconosciuto, con sintomi coerenti sia con la COVID-19 che con le comuni patologie stagionali.”

David Asher, un collega dell’Hudson Institute ed ex consulente del Dipartimento di Stato, nel corso di un seminario ha fornito maggiori dettagli sul fatto.

La conoscenza dell’incidente era arrivata da un mix di resoconti pubblici e da “alcune informazioni di alto livello raccolte dalla nostra comunità di intelligence,” aveva detto. Tre persone che lavoravano in un laboratorio BSL3 dell’istituto si erano ammalate ad una settimana di distanza l’una dall’altra con gravi sintomi che avevano richiesto l’ospedalizzazione. Quello era stato “il primo cluster accertato di cui siamo a conoscenza di vittime di quella che riteniamo fosse COVID-19.” L’influenza non poteva essere completamente esclusa, ma, date le circostanze, sembrava assai improbabile, aveva detto.

Fine della prima parte




Un confronto fra opposti scenari scenari sull’origine del SARS2

Le prove di cui sopra prospettano la seria possibilità che il virus SARS2 potrebbe essere stato creato in un laboratorio, dal quale sarebbe in seguito fuoriuscito. Ma un caso, per quanto sostanziale, non è una dimostrazione di colpevolezza. Ci vorrebbero prove inconfutabili provenienti dall’Istituto di virologia di Wuhan, o da laboratori correlati a quello di Wuhan, che il SARS2, o un virus predecessore, era in fase di sviluppo in quella sede. Vista l’impossibilità di accedere ai registri di laboratorio, un altro approccio sarebbe quello di prendere in considerazione alcune caratteristiche salienti del virus SARS2 e valutare quale dei due scenari di origine, quello dell’emergenza naturale e quello della fuga dal laboratorio, sia in grado di spiegarle meglio. Ecco quattro test per le due ipotesi. Un paio contengono alcuni dettagli tecnici, ma questi sono tra i più persuasivi per coloro che fossero interessati a seguire l’argomento.

1) Il luogo di origine.

Cominciamo con la geografia. I due parenti più stretti conosciuti del virus SARS2 sono stati isolati dai pipistrelli che vivono in grotte nello Yunnan, una provincia della Cina meridionale. Se il virus SARS2 avesse infettato per prime le persone che vivono nei pressi delle grotte dello Yunnan, questo fatto convaliderebbe l’idea che il virus abbia fatto il salto sull’uomo in modo completamente naturale. Ma questo non è quello che era successo. La pandemia era scoppiata a 1.500 chilometri di distanza, a Wuhan.

I beta-coronavirus, la famiglia dei virus dei pipistrelli a cui appartiene il SARS2, infettano il pipistrello “a ferro di cavallo,” il Rhinolophus affinis, che vive nella Cina meridionale. Il raggio d’azione di questo pipistrello è di 50 chilometri, è quindi assai improbabile che qualcuno di essi possa essere arrivato fino a Wuhan.

Comunque, i primi casi della pandemia di Covid-19 si erano verificati probabilmente nel mese di settembre, quando le temperature nella provincia di Hubei sono già abbastanza basse da mandare i pipistrelli in letargo.

E se i virus dei pipistrelli avessero infettato prima un ospite intermedio? Ci sarebbe voluta una popolazione di pipistrelli che fosse rimasta abbastanza a lungo in prossimità di un ospite intermedio, che, a sua volta, avrebbe dovuto vivere a stretto contatto con l’uomo. Tutti questi scambi di virus sarebbero dovuti avvenire da qualche parte al di fuori di Wuhan, una metropoli trafficata che, per quanto si sa, non è un habitat naturale per le colonie di pipistrelli Rhinolophus. La persona (o l’animale) infettata e portatrice di questo virus altamente trasmissibile avrebbe dovuto viaggiare fino a Wuhan senza contagiare nessuno. Senza far ammalare nessuno della sua famiglia. Senza far ammalare nessun compagno di viaggio, se questa persona avesse preso un treno per Wuhan.

In altre parole, è una forzatura immaginare che la pandemia sia scoppiata per cause naturali lontano da Wuhan e che poi, senza lasciare traccia [del suo passaggio], abbia fatto la sua prima apparizione proprio a Wuhan.

Per i sostenitori dello scenario della fuga dal laboratorio, ipotizzare che il virus sia nato proprio a Wuhan è la cosa più logica del mondo. Wuhan è la sede del principale centro cinese di ricerca sui coronavirus dove, come abbiamo appena visto, i ricercatori stavano ingegnerizzando geneticamente i coronavirus di pipistrello per renderli in grado di infettare le cellule umane. Lo stavano facendo nelle minime condizioni di sicurezza di un laboratorio BSL2. Se un virus con l’inaspettata infettività del SARS2 fosse stato sintetizzto in quella sede, una sua fuoriuscita non sarebbe stata una sorpresa.

2) Storia naturale ed evoluzione

La localizzazione iniziale della pandemia è una piccola parte di un problema più grande, quello della sua storia naturale. I virus non saltano da una specie all’altra come se niente fosse. La proteina spike del coronavirus, perfettamente adattata ad attaccare le cellule dei pipistrelli, ha bisogno di ripetute mutazioni per poter fare il salto ad un’altra specie, e, prima che arrivi quella fortunata, la maggior parte di queste mutazioni va nella direzione sbagliata. La mutazione, un cambiamento in una delle unità dell’RNA virale, fa sì che nella proteina spike venga incorporato un aminoacido diverso da quello originale, dandole la capacità di legarsi alle cellule di qualche altra specie animale.

Attraverso molti altri aggiustamenti causati dalle mutazioni, il virus si adatta così ad un nuovo ospite, ad esempio un animale con cui i pipistrelli sono in frequente contatto. L’intero processo riprende poi quando il virus si sposta da questo ospite intermedio all’uomo.

Nel caso del SARS1, i ricercatori erano stati in grado di documentare i cambiamenti successivi della proteina spike mentre il virus si evolveva, passo dopo passo, fino ad arrivare ad essere un pericoloso patogeno. Dopo essere passato dal pipistrello allo zibetto, c’erano stati altri 6 cambiamenti nella sua proteina spike prima che diventasse moderatamente patogeno per l’uomo. Dopo altri 14 cambiamenti, il virus si era adattato molto meglio agli esseri umani e, dopo altri 4, era scoppiata l’epidemia.

Quando però si cercano le tracce di una simile transizione per il SARS2, ci si imbatte in uno strano fenomeno. Il virus non è cambiato quasi per niente, almeno fino a poco tempo fa. Fin dalla sua prima apparizione, era già ben adattato alle cellule umane. I ricercatori del Broad Institute, guidati da Alina Chan, hanno confrontato il SARS2 con il SARS1 in fase avanzata, quando quest’ultimo si era ormai ben adattato alle cellule umane e hanno scoperto che i due virus erano similmente ben adattati. “Nel momento in cui il SARS-CoV-2 era stato rilevato per la prima volta, alla fine del 2019, era già pre-adattato alla trasmissione umana in misura simile al SARS-CoV tardo epidemico,” hanno scritto.

Anche coloro che ritengono improbabile l’origine in laboratorio concordano sul fatto che i genomi del SARS2 sono rimarchevolmente uniformi. Il dottor Baric scrive che “i primi ceppi identificati a Wuhan, in Cina, hanno mostrato una diversità genetica limitata, il che suggerisce che il virus potrebbe essere stato introdotto da un’unica fonte.”

Un’unica fonte sarebbe ovviamente compatibile con una fuoriuscita dal laboratorio, molto meno con una massiccia variazione e selezione, il modo caratteristico di procedere dell’evoluzione naturale.

La struttura uniforme dei genomi del SARS2 non suggerisce alcun passaggio attraverso un ospite animale intermedio e, del resto, nessun ospite del genere è stato mai identificato in natura.

I sostenitori dell’emergenza naturale suggeriscono che il SARS2 potrebbe essersi evoluto in una popolazione umana sconosciuta, ancora prima di acquisire le sue speciali proprietà. O che abbia fatto il salto di specie in un animale ospite al di fuori della Cina.

Tutte queste congetture sono possibili, ma forzate. I sostenitori della fuga dal laboratorio offrono una spiegazione più semplice. Il SARS2 si è adattato alle cellule umane fin dall’inizio perché era stato selezionato in topi umanizzati o in colture di laboratorio di cellule umane, proprio come descritto nella proposta di finanziamento del dottor Daszak. Il suo genoma mostra poca diversità perché il segno distintivo delle culture di laboratorio è proprio l’uniformità

I sostenitori della fuga dal laboratorio hanno la battuta pronta: è ovvio che il virus SARS2 ha infettato una specie ospite intermedia prima di fare il salto sull’uomo e questa specie è stata identificata: sono i topi umanizzati dall’Istituto di virologia di Wuhan.

3) Il sito di scissione della furina.

Il sito di scissione della furina è una parte minuscola dell’anatomia virale, ma che esercita una grande influenza sulla sua infettività. Si trova al centro della proteina spike del SARS2. Ed è anche al centro del puzzle sulla provenienza del virus.

La proteina spike ha due sub-unità che rivestono ruoli diversi. La prima, chiamata S1, riconosce il bersaglio del virus, una proteina chiamata enzima di conversione dell’angiotensina-2 (o ACE2) che si trova sulla superficie delle cellule che rivestono le nostre vie respiratorie. La seconda, S2, aiuta il virus, una volta ancoratosi alla cellula, a fondersi con la membrana cellulare. Dopo che la membrana esterna del virus si è fusa con quella della cellula bersaglio, il genoma virale passa all’interno della cellula, si impossessa delle vie metaboliche addette alla sintesi proteica e le costringe a fabbricare nuovi virus.

Ma questa invasione non può iniziare finché le subunità S1 e S2 non sono state separate. E lì, proprio alla giunzione S1/S2, c’è il sito di scissione della furina, che assicura che la proteina spike possa essere scissa esattamente al posto giusto.

Il virus, un modello di progettazione economica, non dispone di una propria mannaia. Usa quella della cellula ospite e le fa fare il lavoro al posto suo. Le cellule umane hanno sulla loro superficie un enzima specializzato nella scissione delle proteine denominato furina. La furina taglierà qualsiasi catena proteica con la corretta sequenza aminoacidica, che identifica il punto di taglio. [In questo caso] il punto di taglio è una sequenza di quattro aminoacidi, prolina-arginina-arginina-alanina, o PRRA nel codice che si riferisce ad ogni aminoacido con una lettera dell’alfabeto. PRRA è la sequenza di aminoacidi al centro del sito di scissione della furina [nella proteina spike] del SARS2.

I virus hanno tutta una gamma di trucchi intelligenti, perché quindi il sito di scissione della furina è così caratteristico? Perché di tutti i beta-coronavirus SARS conosciuti, solo il SARS2 possiede un sito di scissione della furina. Tutti gli altri virus fanno scindere la loro unità S2 in un sito diverso e con un meccanismo diverso.

Come ha fatto allora il SARS2 ad acquisire il suo particolare sito di scissione della furina? [Ci sono solo due possibilità] o il sito si è evoluto naturalmente, o è stato inserito dai ricercatori nella giunzione S1/S2 in un esperimento di gain-of-function.

Consideriamo prima l’ipotesi dell’origine naturale. I due modi in cui i virus si evolvono sono la mutazione e la ricombinazione. La mutazione è il processo di cambiamento casuale nel DNA (o RNA per i coronavirus) che, di solito, si traduce nello scambio di un aminoacido in una catena proteica. La maggior parte di questi cambiamenti danneggia il virus, ma la selezione naturale mantiene quei pochi che fanno qualcosa di utile. La mutazione è il processo attraverso il quale la proteina spike del SARS1 aveva gradualmente cambiato la propria preferenza per le cellule bersaglio, da quelle dei pipistrelli, agli zibetti, per arrivare infine a quelle degli esseri umani.

La mutazione sembra una modalità assai poco efficiente nella generazione del sito di scissione della furina del SARS2, anche se non può essere del tutto esclusa. Le quattro unità aminoacidiche del sito sono state messe tutte insieme, e tutte al posto giusto, proprio nella giunzione S1/S2. La mutazione è un processo casuale innescato da errori di copiatura (quando si generano nuovi genomi virali) o dal decadimento chimico delle unità genomiche. Quindi, tipicamente colpisce singoli aminoacidi in punti diversi di una catena proteica. È molto più probabile che una stringa di aminoacidi come quella del sito di scissione della furina sia stata acquisita tutta insieme attraverso un processo abbastanza diverso, conosciuto come ricombinazione.

La ricombinazione è uno scambio involontario di materiale genomico che avviene quando due virus invadono per caso la stessa cellula e la loro progenie viene assemblata con pezzi di RNA provenienti da entrambi. I beta-coronavirus si ricombinano solo con altri beta-coronavirus ma possono acquisire, per ricombinazione, quasi tutti gli elementi genetici presenti nel pool genomico collettivo. Quello che non possono acquisire è quello che il pool non possiede. E nessun beta-coronavirus noto legato alla SARS, la classe a cui appartiene il SARS2, possiede un sito di scissione della furina.

I sostenitori dell’emergenza naturale dicono che il SARS2 potrebbe aver acquisito il sito di scissione della furina da qualche beta-coronavirus ancora sconosciuto. Ma i beta-coronavirus legati al SARS dei pipistrelli, ovviamente, non hanno bisogno di un sito di scissione della furina per infettare le cellule dei pipistrelli, quindi non ci sono grosse probabilità che qualcuno ne sia provvisto e, infatti, finora non ne è stato trovato nessuno.

L’argomento successivo dei sostenitori [dell’emergenza naturale] è che il SARS2 avrebbe acquisito il sito di scissione della furina dagli esseri umani. Un predecessore del SARS2 potrebbe aver circolato nella popolazione umana per mesi o anni, finché, ad un certo punto, avrebbe acquisito un sito di scissione della furina dalle cellule umane. Sarebbe poi stato pronto a diffondersi come germe patogeno.

Se questo è quanto successo, ci dovrebbero essere tracce nei registri d’ingresso degli ospedali di persone infettate da questo virus in lenta evoluzione.

Ma, finora, non è venuta alla luce nessuna evidenza. Secondo il rapporto dell’OMS sulle origini del virus, gli ospedali sentinella della provincia di Hubei, sede di Wuhan, tengono regolarmente nota delle patologie simili all’influenza e “non erano state raccolte prove a favore di una sostanziale trasmissione di SARSCoV-2 nei mesi precedenti l’epidemia di dicembre.

Quindi, è difficile spiegare come il virus SARS2 abbia acquisito il suo sito di scissione della furina in modo naturale, per mutazione o ricombinazione.

Rimane solo la posibilità di un esperimento di gain-of-function. Per coloro che pensano che il SARS2 possa essere fuoriuscito da un laboratorio, spiegare il sito di scissione della furina non è affatto un problema. “Dal 1992 la comunità virologica sa che l’unico modo sicuro per rendere un virus più letale è quello di inserirgli in laboratorio un sito di scissione della furina alla giunzione S1/S2,” scrive il dottor Steven Quay, un imprenditore biotech interessato alle origini del SARS2. “In letteratura si trovano almeno undici esperimenti di gain-of-function dove era stato aggiunto un sito di furina per rendere un virus più infettivo, incluso [un esperimento della] dottoressa Zhengli Shi, capo della ricerca sui coronavirus all’Istituto di virologia di Wuhan.”

4) Una questione di codoni

C’è un altro aspetto del sito di scissione della furina che diminuisce ancora di più le possibilità di un’origine naturale dell’emergenza virale.

Come tutti sanno (o almeno dovrebbero ricordare dal liceo), il codice genetico usa tre unità [codoni] del DNA per specificare una singola unità aminoacidica di una catena proteica. Quando vengono letti in gruppi di 3, i 4 diversi tipi di unità [basi azotate] del DNA possono specificare 4 x 4 x 4 o 64 diverse triplette, o codoni come vengono chiamati. Dal momento che esistono solo 20 aminoacidi, ci sono più codoni di quelli che occorrono, permettendo ad alcuni aminoacidi di essere specificati da più di un codone. L’aminoacido arginina, per esempio, può essere designato da uno qualsiasi dei sei codoni CGU, CGC, CGA, CGG, AGA o AGG, dove A, U, G e C stanno per i quattro diversi tipi basi azotate del DNA [Adenina, Uracile, Guanina e Citosina].

Qui è dove le cose si fanno interessanti. Organismi diversi preferiscono codoni diversi [per lo stesso aminoacido]. Alle cellule umane piace designare l’arginina con i codoni CGT, CGC o CGG. Ma CGG è il codone meno gradito dal coronavirus per l’arginina. Tenetelo a mente quando guardate come gli aminoacidi nel sito di scissione della furina della proteina spike del SARS2 sono codificati nel suo genoma.

Ora, la ragione funzionale per cui il SARS2 ha un sito di scissione della furina, e i suoi virus cugini no, può essere intuita confrontando (al computer) la stringa di quasi 30.000 nucleotidi del suo genoma con quelle dei suoi coronavirus cugini, di cui il più vicino finora conosciuto è denominato RaTG13.

Rispetto a RaTG13, SARS2 ha un inserto di 12 nucleotidi che codificano proprio la giunzione S1/S2. L’inserto è la sequenza T-CCT-CGG-CGG-GC. Il CCT codifica per la prolina, le due CGG per due arginine, e la GC è l’inizio del codone GCA, che codifica per l’alanina.

Ci sono diverse caratteristiche curiose in questo inserto, ma la più strana è quella dei due codoni CGG affiancati. Solo il 5% dei codoni per l’arginina del SARS2 sono CGG, e il doppio codone CGG-CGG non è mai stato trovato in nessun altro beta-coronavirus. Quindi, come ha fatto il SARS2 ad acquisire una coppia di codoni per l’arginina tipici delle cellule umane ma non dei coronavirus?

I sostenitori dell’emergenza naturale hanno un compito arduo nello spiegare le caratteristiche del sito di scissione della furina del SARS2. Devono postulare un evento di ricombinazione in un sito del genoma virale dove le ricombinazioni sono rare, e l’inserimento di una sequenza di 12 nucleotidi con un doppio codone di arginina sconosciuto nel repertorio dei beta-coronavirus proprio nell’unico sito del genoma che espanderebbe significativamente l’infettività del virus.

Sì, detto così sembrerebbe improbabile ma i virus sono specialisti in eventi insoliti,” è la risposta di David L. Robertson, un virologo dell’Università di Glasgow che considera la fuga dal laboratorio come una teoria del complotto. “La ricombinazione è naturalmente molto, molto frequente in questi virus, ci sono punti di rottura nella proteina spike dovuti alla ricombinazione e questi codoni appaiono insoliti proprio perché non abbiamo campionato abbastanza.”

Il Dr. Robertson ha ragione sul fatto che l’evoluzione produce sempre risultati che possono sembrare improbabili ma che, in realtà, non lo sono. I virus possono generare un numero incalcolabile di varianti, ma noi vediamo solo quella su un miliardo che la selezione naturale sceglie per la sopravvivenza.

Ma questo argomento potrebbe essere spinto anche oltre. Per esempio, si potrebbe dire che la selezione naturale, dandole tempo a sufficienza, arriverebbe allo stesso risultato di qualsiasi esperimento di guadagno di funzione. Ma il gioco delle probabilità può essere fatto anche al contrario. Affinché il sito di scissione della furina insorga naturalmente nel SARS2, deve verificarsi una catena di eventi, ognuno dei quali è abbastanza improbabile per le ragioni sopra esposte. Una lunga catena con diversi passi improbabili è improbabile che possa essere completata.

Per i fautori dello scenario di fuga dal laboratorio, il doppio codone CGG non è una sorpresa. Il codone umano è usato abitualmente nei laboratori. Quindi, chiunque volesse inserire un sito di scissione della furina in un genoma virale sintetizzerebbe la sequenza di PRRA in laboratorio e, per l’arginina, probabilmente userebbe il codone CGG.

Quando nella sequenza virale ho visto per la prima volta il sito di scissione della furina con il doppio codone per l’arginina, ho detto a mia moglie che quella era la pistola fumante per l’origine del virus,” ha detto David Baltimore, un eminente virologo ed ex presidente del CalTech. “Queste caratteristiche costituiscono una potente sfida all’idea di un’origine naturale del SARS2,” ha detto.

Un terzo scenario di origine

C’è una variante dello scenario dell’emergenza naturale che vale la pena prendere in considerazione. Questa è l’idea che il SARS2 sia passato direttamente dai pipistrelli agli esseri umani, senza transitare attraverso un ospite intermedio, come avevano fatto il SARS1 e il MERS. Uno dei principali sostenitori è il virologo David Robertson, che fa notare come il SARS2 possa attaccare diverse altre specie oltre all’uomo. Crede che il virus abbia sviluppato questa capacità ubiquitaria quando era ancora nei pipistrelli. Poiché i pipistrelli che infetta sono molto diffusii nella Cina meridionale e centrale, il virus avrebbe avuto ampie opportunità di passare alla specie umana, anche se sembra averlo fatto in un’unica occasione nota.

La tesi del Dr. Robertson spiegherebbe perché nessuno finora ha trovato tracce di SARS2 in qualche ospite intermedio o in gruppi umani monitorati prima del dicembre 2019. Spiegherebbe anche il fatto sconcertante che il SARS2 non è cambiato da quando è apparso per la prima volta negli esseri umani, non ne aveva bisogno perché era già in grado di attaccare le cellule umane in modo efficiente.

Un problema con questa ipotesi, però, è che se il SARS2 fosse passato dai pipistrelli agli esseri umani in un unico salto e da allora non fosse cambiato di molto, dovrebbe essere ancora in grado di infettare i pipistrelli. Ma sembra non essere in grado di farlo.

Le specie di pipistrelli testate sono scarsamente infettate dal SARS-CoV-2 ed è quindi improbabile che siano la fonte diretta dell’infezione umana,” scrive un team di ricercatori scettico sulla tesi dell’emergenza naturale.

Tuttavia, il Dr. Robertson potrebbe essere sulla strada giusta. I coronavirus dei pipistrelli delle grotte dello Yunnan possono infettare direttamente le persone. Nell’aprile 2012, sei minatori che ripulivano dal guano di pipistrello la miniera di Mojiang avevano contratto una grave polmonite, con sintomi simili alla Covid-19 e tre di loro erano morti. Un virus isolato dalla miniera di Mojiang, chiamato RaTG13, è attualmente il parente più stretto conosciuto del SARS2. Un fitto mistero circonda l’origine, la segnalazione e la stranamente bassa affinità del RaTG13 per le cellule di pipistrello, così come le caratteristiche di altri 8 virus simili che la dottoressa Shi riferisce di aver raccolto nello stesso periodo, dati che tuttavia non ha ancora pubblicato, nonostante la loro grande rilevanza per l’ascendenza del SARS2. Ma questa è una storia per un’altra volta. Il punto qui è che i virus dei pipistrelli possono infettare direttamente l’uomo, anche se solo in condizioni particolari.

Quindi, quali altre persone, oltre ai minatori che scavano guano di pipistrello, possono avere un contatto particolarmente stretto con i coronavirus di pipistrello? Beh, questo capita ai ricercatori che lavorano con i coronavirus [di pipistrello]. La dottoressa Shi dice che lei e il suo gruppo avevano raccolto più di 1.300 campioni di pipistrelli nel corso di otto visite alla grotta Mojiang, tra il 2012 e il 2015, e, senza dubbio, c’erano state molte altre spedizioni nelle grotte dello Yunnan.

Possiamo pensare che i ricercatori abbiano fatto frequenti viaggi da Wuhan allo Yunnan e ritorno, raccogliendo campioni di guano di pipistrello in grotte buie e miniere, e questo potrebbe essere il possibile collegamento mancante tra i due luoghi. I ricercatori potrebbero essersi infettati durante i loro viaggi di raccolta, o mentre lavoravano con i nuovi virus all’Istituto di virologia di Wuhan. Il virus fuoriuscito dal laboratorio sarebbe quindi stato un virus naturale, non uno manipolato per ottenere un guadagno di funzione.

La tesi della provenienza diretta dai pipistrelli è un compromesso tra quella dell’emergenza naturale e gli scenari di fuga dal laboratorio. È una possibilità che non può essere scartata. Ma si scontra con il fatto che 1) sia il SARS2 che il RaTG13 sembrano avere solo una debole affinità per le cellule di pipistrello, quindi non si può essere completamente sicuri che entrambi abbiano mai visto l’interno di una cellula di pipistrello e 2) la teoria non è migliore di quella dello scenario di emergenza naturale nello spiegare come mai il SARS2 abbia un sito di scissione della furina, o perché questo sito di scissione della furina sia codificato dai codoni per l’arginina tipici degli esseri umani, invece che da quelli preferiti dai pipistrelli.

Dove siamo attualmente

Né l’emergenza naturale né l’ipotesi della fuga dal laboratorio possono ancora essere escluse. Non ci sono ancora prove dirette a favore di una delle due. Non è quindi possibile raggiungere una conclusione definitiva.

Detto questo, le prove disponibili propendono fortemente in una direzione piuttosto che nell’altra. I lettori si formeranno la propria opinione. A me sembra che i sostenitori della tesi della fuga dal laboratorio siano in grado di spiegare tutti i fatti disponibili sul SARS2 molto più facilmente di quanto riescano a fare i fautori dell’emergenza naturale.

È documentato che i ricercatori del Wuhan Institute of Virology stavano facendo esperimenti di gain-of-function progettati per far sì che i coronavirus infettassero cellule umane e topi umanizzati. Questo è esattamente il tipo di esperimenti da cui potrebbe essere emerso un virus simile al SARS2. I ricercatori non erano vaccinati contro i virus oggetto di studio e lavoravano nelle condizioni minime di sicurezza di un laboratorio BSL2. La fuoriscita di un virus non sarebbe stata quindi affatto sorprendente. In Cina, la pandemia era scoppiata praticamente sulla porta dell’istituto di Wuhan. Il virus era già ben adattato all’uomo, come ci si potrebbe aspettare da un virus cresciuto su topi umanizzati. Disponeva di un miglioramento insolito, un sito di scissione della furina che non è posseduto da nessun altro beta-coronavirus noto legato al SARS, e questo sito è codificato da un doppio codone per l’arginina, anch’esso sconosciuto tra i beta-coronavirus. Quali altre prove si potrebbero desiderare, a parte i registri di laboratorio attualmente introvabili, che documentino la creazione del SARS2?

I sostenitori dell’emergenza naturale hanno una storia più difficile da raccontare. La plausibilità del loro caso si basa su un’unica supposizione, l’atteso parallelo tra l’emergenza del SARS2, del SARS1 e del MERS. Ma nessuna delle prove attese a sostegno di una simile storia parallela è ancora emersa.

Nessuno ha trovato la popolazione di pipistrelli da cui sarebbe emerso il SARS2, se davvero ha mai infettato i pipistrelli. Nessun ospite intermedio è mai stato trovato, nonostante l’intensa ricerca da parte delle autorità cinesi, che hanno testato circa 80.000 animali. Non ci sono prove che il virus abbia fatto un certo numero salti indipendenti da ospiti intermedi all’uomo, com’era successo con i virus SARS1 e MERS. Dai registri ospedalieri non emerge nessuna prova che l’epidemia si sia intensificata nella popolazione, parallelamente all’evoluzione del virus. Non c’è alcuna spiegazione del perché un’epidemia naturale avrebbe dovuto scoppiare a Wuhan e non da un’altra parte. Non c’è una buona spiegazione su come il virus abbia potuto acquisire un sito di scissione della furina, che nessun altro beta-coronavirus legato alla SARS possiede, né perché questo sito sia codificato da codoni tipicamente umani.

La teoria dell’emergenza naturale si scontra con un’irta serie di implausibilità.

I registri dell’Istituto di virologia di Wuhan contengono certamente molte informazioni rilevanti. Ma sembra improbabile che le autorità cinesi li rilascino, data la sostanziale possibilità che possano incriminare il regime per lo scoppio della pandemia. In mancanza di coraggiosi informatori cinesi, le informazioni attualmente in nostro possesso potrebbero anche essere le uniche, almeno per un po’.

Quindi vale la pena provare a valutare la responsabilità della pandemia, almeno in modo provvisorio, perché l’obiettivo principale rimane quello di prevenirne un’altra. Anche coloro che non sono convinti che la fuga dal laboratorio sia l’origine più probabile del virus SARS2 si rendono conto che esistono validi motivi di preoccupazione per l’attuale stato di regolamentazione della ricerca sul guadagno di funzione. Ci sono due ovvi livelli di responsabilità: il primo, l’aver permesso ai virologi di eseguire esperimenti di guadagno di funzione, con un guadagno minimo e un rischio enorme; il secondo, se davvero il SARS2 è stato sintetizzato in laboratorio, l’aver permesso al virus di fuoriuscire e scatenare una pandemia mondiale. Ecco gli attori, a cui probabilmente dovremmo addossare gran parte della colpa.

1. I virologi cinesi

Prima di tutto, i virologi cinesi sono da biasimare per aver eseguito esperimenti di guadagno di funzione in condizioni di sicurezza per lo più di livello BSL2, troppo permissivi per contenere un virus di inaspettata infettività come il SARS2. Se il virus è davvero uscito dal loro laboratorio, meritano il biasimo di tutto il mondo per un incidente prevedibile che ha già causato la morte di 3 milioni di persone.

È vero, la dottoressa Shi è stata formata da virologi francesi, ha lavorato a stretto contatto con virologi americani e stava seguendo le regole internazionali per il contenimento dei coronavirus. Ma avrebbe potuto e dovuto fare una propria valutazione dei rischi che stava correndo. Lei e i suoi colleghi hanno la responsabilità delle loro azioni.

Ho usato l’Istituto di virologia di Wuhan come riferimento generico per tutte le attività virologiche svolte a Wuhan. È possibile che il SARS2 sia stato sintetizzato in qualche altro laboratorio di Wuhan, forse nel tentativo di mettere a punto un vaccino che funzionasse contro tutti i coronavirus. Ma, fino a quando il ruolo degli altri virologi cinesi non sarà stato chiarito, la dottoressa Shi è il volto pubblico della ricerca cinese sui coronavirus e, provvisoriamente, lei e i suoi colleghi saranno i primi a dover sopportare il peso della critica.

2. Le autorità cinesi

Le autorità centrali cinesi non hanno fisicamente sintetizzato il SARS2, ma, sicuramente, hanno fatto del loro meglio per nascondere la natura della tragedia e le responsabilità della Cina. Hanno secretato tutti i registri dell’Istituto di virologia di Wuhan e bloccato l’accesso ai database dei virus. Hanno rilasciato un rivolo di informazioni, molte delle quali potrebbero essere state completamente falsate o diffuse per fuorviare e ingannare. Hanno fatto del loro meglio per manipolare l’inchiesta dell’OMS sulle origini del virus e hanno fatto girare inutilmente a vuoto i membri della commissione. Finora si sono dimostrati molto più interessati a schivare le colpe che a prendere le misure necessarie per prevenire una seconda pandemia.

3. La comunità mondiale dei virologi

I virologi di tutto il mondo sono una comunità professionale [tutto sommato] assai poco coesa. Scrivono articoli sulle stesse riviste. Partecipano alle stesse conferenze. Hanno interessi comuni nel sollecitare fondi dai governi e nel non farsi oberare da regolamenti di sicurezza.

I virologi conoscevano meglio di chiunque altro i pericoli della ricerca “gain-of-function.” Ma il potere di creare nuovi virus e i fondi di ricerca ottenibili per queste ricerche erano troppo allettanti. Sono andati avanti con gli esperimenti sul guadagno di funzione. Avevano fatto pressioni contro la moratoria imposta nel 2014 sui finanziamenti federali per la ricerca “gain-of-function” e questa era stata abolita nel 2017.

I benefici di questo tipo di ricerca nel prevenire le future epidemie sono stati finora nulli, i rischi enormi. Se la ricerca sui virus SARS1 e MERS poteva essere fatta solo al livello di sicurezza BSL3, era sicuramente illogico permettere qualsiasi lavoro con i nuovi coronavirus ad un livello inferiore, il BSL2.

Che il SARS2 sia fuoriuscito o meno da un laboratorio, [rimane il fatto che] i virologi di tutto il mondo hanno giocato col fuoco.

Il loro comportamento aveva da tempo allarmato gli altri biologi. Nel 2014, gli scienziati che si fanno chiamare Cambridge Working Group avevano invitato alla prudenza nella creazione di nuovi virus. Con parole preveggenti, avevano messo in guardia sul rischio di creare un virus simile al SARS2. “I rischi di incidenti con patogeni ‘potenzialmente pandemici’ di nuova creazione sollevano nuove e gravi preoccupazioni,” avevano scritto. “La creazione in laboratorio di ceppi nuovi e altamente trasmissibili di virus pericolosi, specialmente, ma non solo, dell’influenza, pone rischi sostanzialmente maggiori. In un tale contesto, un’infezione accidentale potrebbe innescare focolai che sarebbero difficili o impossibili da controllare.”

Nel 1975, quando i biologi molecolari avevano scoperto la tecnica per spostare i geni da un organismo all’altro, avevano tenuto una conferenza pubblica ad Asilomar per discutere i possibili rischi. Nonostante l’opposizione interna, avevano stilato una lista di rigorose misure di sicurezza che si sarebbero potute allentare in futuro, quando i possibili rischi fossero stati meglio valutati. E così era stato.

Quando era stata inventata la tecnica CRISPR per l’editing genetico, i biologi avevano stilato una dichiarazione congiunta, firmata delle accademie nazionali della scienza degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Cina, per invocare moderazione nell’operare cambiamenti ereditabili al genoma umano. I biologi che avevano inventato la tecnica della forzatura genetica erano anche stati chiari sui pericoli del loro lavoro e avevano cercato di coinvolgere il pubblico.

Si potrebbe pensare che la pandemia di SARS2 avrebbe spinto i virologi a rivalutare i benefici della ricerca sul guadagno di funzione, magari coinvolgendo il pubblico nelle loro decisioni. Ma non è stato così. Molti virologi deridono l’ipotesi fuga dal laboratorio come una teoria della cospirazione e altri non dicono nulla. Si sono barricati dietro una muraglia cinese di silenzio, che finora sta funzionando bene, per placare, o almeno rimandare, la curiosità dei giornalisti e l’ira del pubblico. Le professioni che non possono regolarsi da sole meriterebbero di essere regolamentate da altri, e questo sembra essere il futuro che i virologi stanno scegliendo per loro stessi.

4. Il ruolo degli Stati Uniti nel finanziamento dell’Istituto di virologia di Wuhan

Dal giugno 2014 al maggio 2019, la EcoHealth Alliance del Dr. Daszak ha avuto una sovvenzione dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), che fa parte dei National Institutes of Health, per fare ricerca sui coronavirus presso il Wuhan Institute of Virology. Che il SARS2 sia, o meno, il prodotto di quella ricerca, è comunque una politica discutibile quella di affidare una ricerca ad alto rischio a laboratori stranieri che usano minime precauzioni di sicurezza. Se il virus SARS2 fosse davvero fuoriuscito dall’istituto di Wuhan, allora il NIH si troverebbe nella terribile posizione di aver finanziato un esperimento disastroso, che ha causato la morte di più di 3 milioni di persone in tutto il mondo, tra cui più di mezzo milione di suoi concittadini.

La responsabilità del NIAID e del NIH è ancora più grave perché, nei primi tre anni della sovvenzione a EcoHealth Alliance, esisteva una moratoria sul finanziamento della ricerca sul guadagno di funzione. Perché le due agenzie non avevano bloccato il finanziamento federale, come apparentemente richiesto dalla legge? Perché qualcuno aveva aggiunto una scappatoia alla moratoria.

La moratoria vietava specificamente di finanziare qualsiasi ricerca sul guadagno di funzione che aumentasse la patogenicità dei virus dell’influenza, MERS o SARS. Ma poi una nota a piè di pagina a p.2 del documento sulla moratoria affermava che “un’eccezione alla pausa di ricerca può essere ottenuta se il capo dell’agenzia di finanziamento del governo USA ritiene la ricerca urgentemente necessaria per proteggere la salute pubblica o la sicurezza nazionale.”

Questo sembrerebbe voler dire che il direttore del NIAID, il Dr. Anthony Fauci, o il direttore del NIH, il Dr. Francis Collins, o forse entrambi, avrebbero potuto appellarsi alla nota a piè di pagina per mantenere integro il flusso di denaro destinato alla ricerca della dottoressa Shi sul gain-of-function.

Sfortunatamente, il direttore del NIAID e il direttore del NIH hanno sfruttato questa scappatoia per rilasciare esenzioni ai progetti soggetti alla moratoria, asserendo in modo assurdo che la ricerca da esentare era ‘urgentemente necessaria per proteggere la salute pubblica o la sicurezza nazionale,’ annullando in questo modo la moratoria,” ha detto il dottor Richard Ebright in un’intervista ad Independent Science News.

Quando la moratoria era terminata, nel 2017, non era semplicemente svanita, ma era stata sostituita da un sistema di segnalazione, il Potential Pandemic Pathogens Control and Oversight (P3CO) Framework, che richiede alle agenzie di segnalare per la revisione qualsiasi lavoro pericoloso sul guadagno di funzione che intendano finanziare.

Secondo il dottor Ebright, sia il dottor Collins che il dottor Fauci “si sono rifiutati di segnalare e inoltrare le proposte per la revisione rischio-beneficio, vanificando in questo modo il sistema di segnalazione P3CO.”

A suo parere, i due funzionari, nel trattare la moratoria e il conseguente sistema di segnalazione, “hanno sistematicamente ostacolato gli sforzi della Casa Bianca, del Congresso, degli scienziati e degli specialisti di politica scientifica nella regolamentazione dei rischi connessi alla ricerca GoF [gain-of-function].”

Forse i due funzionari hanno dovuto prendere in considerazione problematiche non evidenti nella documentazione pubblica, come le questioni di sicurezza nazionale. Forse il finanziamento all’Istituto di virologia di Wuhan, che si ritiene abbia legami con i virologi militari cinesi, era destinato a fornire una finestra sulla ricerca cinese sulla guerra biologica. Ma, nonostante tutte le possibili considerazioni, la linea di fondo è che il National Institutes of Health stava sostenendo una ricerca sul guadagno di funzione, un lavoro che avrebbe potuto generare il virus SARS2, in un laboratorio straniero non supervisionato che operava in condizioni di biosicurezza BSL2. La saggezza di questa decisione deve comunque essere messa in discussione, indipendentemente dal fatto che il SARS2 e la morte di 3 milioni di persone ne siano stati il risultato.

In conclusione

Se l’ipotesi che il SARS2 abbia avuto origine in un laboratorio è sostenuta da così tante prove, perché la cosa non è maggiormente conosciuta? Come ora appare ovvio, ci sono molte persone interessate a non parlarne. In cima all’elenco, naturalmente, ci sono le autorità cinesi. Ma anche i virologi negli Stati Uniti e in Europa non hanno un grande interesse ad accendere un dibattito pubblico sugli esperimenti di gain-of-function che la loro comunità ha portato avanti per anni.

Né altri scienziati si sono fatti avanti per sollevare la questione. I fondi di ricerca governativi vengono distribuiti su consiglio di comitati di esperti scientifici provenienti dalle università. Chiunque crei scompiglio sollevando imbarazzanti questioni politiche corre il rischio di non vedersi rinnovare la tanto agognata sovvenzione o di vedersi terminare velocemente la propria carriera di ricercatore. Forse un buon comportamento viene ricompensato con i molti vantaggi collegati al sistema di distribuzione. E, se pensavate che il dottor Andersen e il dottor Daszak avessero macchiato la propria reputazione di obiettività scientifica con i loro partigiani attacchi allo scenario della fuoriuscita dal laboratorio, guardate il secondo e il terzo nome su questa lista di beneficiari di una sovvenzione di 82 milioni di dollari diramata, nell’agosto 2020, dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases.

Il governo degli Stati Uniti ha uno strano interesse in comune con le autorità cinesi: nessuno dei due vuole attirare l’attenzione sul fatto che il lavoro sui coronavirus della dottoressa Shi era stato finanziato dal National Institutes of Health statunitense. Si può immaginare una conversazione dietro le quinte in cui il governo cinese dice: “se questa ricerca era così pericolosa, perché l’avete finanziata e, tra l’altro, anche sul nostro territorio?” Al che la parte statunitense potrebbe rispondere: “sembra che siate stati voi a lasciarvelo scappare. Ma dobbiamo davvero avere questa discussione in pubblico?

Il dottor Fauci è un funzionario pubblico di lunga data, che ha servito con integrità [?] sotto il presidente Trump e che nell’amministrazione Biden ha ripreso la leadership nella gestione dell’epidemia Covid. Il Congresso, e la cosa è comprensibile, può avere uno scarso interesse a metterlo sotto il torchio per l’apparente mancanza di giudizio nel finanziare la ricerca sul guadagno di funzione a Wuhan.

A questo invalicabile muro di silenzio va aggiunto quello dei media tradizionali. Che io sappia, nessun giornale o rete televisiva importante ha ancora fornito ai lettori/ascoltatori notizie approfondite sullo scenario della fuoriuscita dal laboratorio, come quelle che avete appena letto, anche se alcuni hanno pubblicato brevi editoriali o pezzi di opinione. Si potrebbe pensare che ogni plausibile teoria sull’origine di un virus che ha ucciso tre milioni di persone meriterebbe un’indagine seria. O che la logica di continuare la ricerca sul guadagno di funzione, indipendentemente dall’origine del SARS2, meriterebbe un’indagine. O che il finanziamento della ricerca sul guadagno di funzione da parte del NIH e del NIAID, proprio durante una moratoria su quel genere di finanziamenti, meriterebbe un’indagine. Come si spiega l’apparente mancanza di curiosità dei media?

L’omertà dei virologi è uno dei motivi. I giornalisti scientifici, a differenza dei giornalisti politici, hanno uno scarso scetticismo innato sulle motivazioni delle loro fonti; la maggior parte di loro si considerano dei diffusori di saggezza: dagli scienziati alle masse incolte. Così, quando le fonti non aiutano, questi giornalisti non sono in grado di compiere il loro lavoro.

Un’altra ragione, forse, è la migrazione di gran parte dei media verso la sinistra dello spettro politico. Visto che il presidente Trump aveva detto che il virus era fuoriuscito da un laboratorio di Wuhan, gli editori hanno dato poco credito all’idea. Si sono uniti ai virologi nel considerare la fuoriuscita dal laboratorio come una dismissibile teoria della cospirazione. Durante l’amministrazione Trump, non avevano avuto problemi nel respingere la posizione dei servizi di intelligence, secondo cui l’ipotesi di una fuga dal laboratorio non poteva essere esclusa. Ma quando Avril Haines, la direttrice dell’intelligence nazionale del presidente Biden, aveva detto la stessa cosa, anche lei era stata quasi del tutto ignorata. Questo non vuol dire che i redattori avrebbero dovuto avallare lo scenario della fuga dal laboratorio, ma solo che avrebbero dovuto esplorare questa possibilità in modo completo e corretto.

Le persone di tutto il mondo, che, nel corso dell’ultimo anno, sono state praticamente confinate in casa, potrebbero volere una risposta migliore di quella che i media stanno dando loro. Forse, col tempo, ne emergerà una. Dopo tutto, più mesi passano senza che la teoria dell’emergenza naturale ottenga uno straccio di prova, meno plausibile potrà sembrare. Forse la comunità internazionale dei virologi verrà vista come una guida falsa ed egoista. L’assoluta ovvietà che una pandemia scoppiata a Wuhan potrebbe benissimo essere correlata ad un laboratorio biologico proprio a Wuhan dove, in precarie condizioni di lavoro, si sintetizzavano nuovi e pericolosissimi virus potrebbe, alla fine, spiazzare il dogma ideologico che qualsiasi cosa detta da Trump non può essere vera.

E allora che la resa dei conti abbia inizio.

Ringraziamenti

La prima persona a dare uno sguardo serio alle origini del virus SARS2 è stato Yuri Deigin, un imprenditore biotecnologico che opera in Russia e Canada. In un lungo e brillante saggio, aveva analizzato la biologia molecolare del virus SARS2 e aveva sollevato, senza avallarla, la possibilità che fosse stato manipolato. Il saggio, pubblicato il 22 aprile 2020, aveva fornito una tabella di marcia per chiunque volesse cercare di capire le origini del virus. Deigin aveva riportato nel suo saggio così tante informazioni e analisi che alcuni avevano dubitato che fosse il lavoro di un singolo individuo e avevano suggerito che poteva essere stato scritto da qualche agenzia di intelligence. Ma il saggio è redatto in uno stile più leggero ed umoristico di quanto, secondo me, si può trovare nei rapporti della CIA o del KGB e non vedo alcuna ragione per dubitare che il dottor Deigin ne sia l’unico e abile autore.

Sulla scia di Deigin sono arrivati molti altri scettici dell’ortodossia virologica. Nikolai Petrovsky ha calcolato quanto strettamente il virus SARS2 si lega ai recettori ACE2 di varie specie e ha trovato, con sorpresa, che sembrava ottimizzato per il recettore umano, portandolo a dedurre che il virus potrebbe essere stato generato in laboratorio. Alina Chan ha pubblicato un articolo che dimostra che il SARS2, fin dalla sua prima apparizione, era molto ben adattato alle cellule umane.

Uno dei pochissimi scienziati dell’establishment ad aver messo in discussione il rifiuto assoluto dei virologi per l’ipotesi della fuoriuscita dal laboratorio è Richard Ebright, che da tempo mette in guardia contro i pericoli della ricerca sulla gain-of-function. Un altro è David A. Relman della Stanford University. “Anche se le opinioni forti abbondano, nessuno di questi scenari può essere tranquillamente escluso con i fatti attualmente disponibili,” ha scritto. Complimenti anche a Robert Redfield, l’ex direttore dei Centers for Disease Control and Prevention, che, il 26 marzo 2021, aveva detto alla CNN che la causa “più probabile” dell’epidemia era [una fuoriuscita] “da un laboratorio,” perché dubitava che un virus di pipistrello potesse diventare un letale patogeno umano da un giorno all’altro, senza aver avuto il tempo di evolversi, come sembra essere il caso del SARS2.

Steven Quay, un medico-ricercatore, ha applicato strumenti statistici e bioinformatici a ingegnose esplorazioni sull’origine del virus, mostrando, per esempio, come gli ospedali che avevano ricevuto i primi pazienti fossero raggruppati lungo la linea N°2 della metropolitana di Wuhan, quella che collega l’Istituto di virologia con l’aeroporto internazionale, il nastro trasportatore perfetto per distribuire il virus dal laboratorio al mondo.

Nel giugno 2020, Milton Leitenberg aveva pubblicato una prima indagine sulle prove di una fuga virale dal laboratorio di ricerca sulla gain-of-function all’Istituto di virologia di Wuhan.

Molti altri hanno contribuito aggiungendo pezzi importanti al puzzle. “La verità è figlia,” aveva detto Francis Bacon, “non dell’autorità ma del tempo.” Gli sforzi di persone come quelle sopranominate sono ciò che la rende tale.

Nicholas Wade

Fonte: nicholaswade.medium.com
Link: https://nicholaswade.medium.com/origin-of-covid-following-the-clues-6f03564c038
03.05.2021

Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

https://comedonchisciotte.org/le-origini-del-sars-cov-2-la-ricerca-delle-tracce-prima-parte/

https://comedonchisciotte.org/le-origini-del-sars-cov-2-alla-ricerca-delle-tracce-seconda-parte/

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