9 MAGGIO, TRASLAZIONE RELIQUIE DI SAN NICOLA DA MYRA A BARI
TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE
Le spoglie di S. Nicola riposarono a Mira circa 750 anni (337-1087), mentre il suo culto (specialmente a partire dal IX secolo) si diffondeva universalmente. Poi, grazie ad un fortunato colpo di mano le sue reliquie furono portate a Bari, cambiando la storia di questa città. Ed oltre che come “di Mira”, d’allora in poi fu conosciuto come S. Nicola di Bari.
La traslazione delle reliquie di S. Nicola da Mira (Asia Minore, oggi Turchia) a Bari fu ideata e realizzata in un contesto storico ben preciso. La città stava attraversando un periodo di crisi a seguito della conquista normanna che nel 1071 l’aveva privata del ruolo di capitale del “tema di Longobardia”, con conseguente calo nelle attività commerciali. C’era anche una crisi d’identità politica, non risolta dalla ribellione di Argirizzo nel 1079, che aveva provocato una dura e umiliante reazione da parte del duca Roberto il Guiscardo. L’occupazione nel 1085 di Antiochia da parte dei musulmani aveva dato il colpo di grazia al commercio, essendo quella città il principale partner commerciale.
La circostanza favorevole fu che, proprio sulla rotta per Antiochia c’era Andriake, il porto della città di Mira, ove a tre km all’interno c’era la chiesa di S. Nicola, già venerato anche a Bari come patrono dei marinai. Di conseguenza, anche se non ci fu un vero e proprio progetto, l’idea di rapire le ossa di S. Nicola dovette venire abbastanza naturale. Con un simile colpo di mano la città avrebbe trovato un simbolo ed un patrono che avrebbe risollevato sia l’orgoglio che il commercio cittadino. Consapevoli che non vi sarebbero state molte altre occasioni a motivo dell’inarrestabile avanzata musulmana in Asia Minore, l’idea dell’impresa si concretizzò durante una navigazione nei primi mesi del 1087[1].
Su tre navi cariche di cereali 62 tra marinai e commercianti baresi salparono diretti ad Antiochia. A metà viaggio il discorso cadde sulla possibilità di impadronirsi delle ossa di S. Nicola, che in tal modo sarebbero state salvate dalle incursioni turche e avrebbero dato prestigio alla città. Una rapida perlustrazione all’andata li scoraggiò, avendo constatato la presenza di molti turchi ivi convenuti per i funerali di un loro capo. Dopo le operazioni commerciali ad Antiochia, ove appresero che anche i veneziani avevano le stesse intenzioni, presero rapidamente la via del ritorno. Giunti ad Andriake, 15 rimasero alle navi e 47 si inoltrarono all’interno fino alla chiesa, in cui c’erano quattro custodi, di cui tre monaci.
Dopo una breve preghiera come se fossero normali pellegrini, si fecero indicare il luogo da dove estraevano la manna e dove era sepolto S. Nicola. Inizialmente i monaci si rifiutarono, anzi cercarono invano di correre ad avvertire i cittadini che si erano rifugiati nei monti vicini, ma poi, spada alla gola, furono costretti a parlare. Alquanto timorosi al momento di frantumare il sepolcro del Santo, finalmente si fece avanti il giovane Matteo che con una spranga di ferro ruppe l’urna e trasse fuori le reliquie, per ultimo anche il cranio.
L’indecisione al porto su quale nave dovesse avere l’onore di trasportare il sacro tesoro fu superata affidandole alla nave di Matteo. Dopo un inizio difficoltoso con tappe a Kekowa, Megiste, Patara e Perdicca, quando cinque marinai consegnarono le reliquie che avevano sottratte, il vento divenne favorevole. Le altre tappe furono Marciano, Ceresano, Milos, Stafnu (o Bonapolla), Geraca, Monemvasia, Methone, Sikea, S. Giorgio, 5 chilometri da Bari, ove trascorsero la notte per sistemare le reliquie in una cassa lignea ricoperta delle stoffe comprate ad Antiochia. Mi
Entrarono nel porto di Bari nel pomeriggio della domenica 9 maggio, accolti da una folla festante. Ma dopo le manifestazioni di gioia, nacque il problema della persona a cui consegnare le reliquie. Salito sulla nave delle reliquie, l’abate benedettino Elia le prese in consegna con la promessa di tenerle nel suo monastero fino a che i capitani e il popolo non avessero preso una decisione. L’arrivo dell’arcivescovo Ursone due giorni dopo, invece di semplificare il problema, lo complicò, mostrandosi Ursone deciso a portare le reliquie in cattedrale. Il suo tentativo di impadronirsene provocò uno scontro armato con due morti e molti feriti.
Finalmente l’arcivescovo si rassegnò e concesse che il palazzo dell’antico governatore bizantino (catepano) venisse trasformato in chiesa, di modo che Nicola avesse in città un suo proprio tempio. I lavori iniziarono l’8 luglio e a dirigerli fu quell’abate Elia che poi, alla morte di Ursone (14 febbraio 1089) fu eletto arcivescovo dal popolo unanime. Il 1° ottobre del 1089 venne il papa Urbano II proveniente da Melfi e repose le reliquie sotto l’altare della cripta alla presenza dei conti normanni e della duchessa Sichelgaita. Intanto, con la sua Historia Translationis, rivolgendosi all’Europa Giovanni Arcidiacono annunciava: A tutte le chiese di Cristo rendiamo noto che … dalla città di Mira, trasportate per mare dai Baresi, sono giunte a Bari le reliquie di S. Nicola.
La circostanza favorevole fu che, proprio sulla rotta per Antiochia c’era Andriake, il porto della città di Mira, ove a tre km all’interno c’era la chiesa di S. Nicola, già venerato anche a Bari come patrono dei marinai. Di conseguenza, anche se non ci fu un vero e proprio progetto, l’idea di rapire le ossa di S. Nicola dovette venire abbastanza naturale. Con un simile colpo di mano la città avrebbe trovato un simbolo ed un patrono che avrebbe risollevato sia l’orgoglio che il commercio cittadino. Consapevoli che non vi sarebbero state molte altre occasioni a motivo dell’inarrestabile avanzata musulmana in Asia Minore, l’idea dell’impresa si concretizzò durante una navigazione nei primi mesi del 1087[1].
Su tre navi cariche di cereali 62 tra marinai e commercianti baresi salparono diretti ad Antiochia. A metà viaggio il discorso cadde sulla possibilità di impadronirsi delle ossa di S. Nicola, che in tal modo sarebbero state salvate dalle incursioni turche e avrebbero dato prestigio alla città. Una rapida perlustrazione all’andata li scoraggiò, avendo constatato la presenza di molti turchi ivi convenuti per i funerali di un loro capo. Dopo le operazioni commerciali ad Antiochia, ove appresero che anche i veneziani avevano le stesse intenzioni, presero rapidamente la via del ritorno. Giunti ad Andriake, 15 rimasero alle navi e 47 si inoltrarono all’interno fino alla chiesa, in cui c’erano quattro custodi, di cui tre monaci.
Dopo una breve preghiera come se fossero normali pellegrini, si fecero indicare il luogo da dove estraevano la manna e dove era sepolto S. Nicola. Inizialmente i monaci si rifiutarono, anzi cercarono invano di correre ad avvertire i cittadini che si erano rifugiati nei monti vicini, ma poi, spada alla gola, furono costretti a parlare. Alquanto timorosi al momento di frantumare il sepolcro del Santo, finalmente si fece avanti il giovane Matteo che con una spranga di ferro ruppe l’urna e trasse fuori le reliquie, per ultimo anche il cranio.
L’indecisione al porto su quale nave dovesse avere l’onore di trasportare il sacro tesoro fu superata affidandole alla nave di Matteo. Dopo un inizio difficoltoso con tappe a Kekowa, Megiste, Patara e Perdicca, quando cinque marinai consegnarono le reliquie che avevano sottratte, il vento divenne favorevole. Le altre tappe furono Marciano, Ceresano, Milos, Stafnu (o Bonapolla), Geraca, Monemvasia, Methone, Sikea, S. Giorgio, 5 chilometri da Bari, ove trascorsero la notte per sistemare le reliquie in una cassa lignea ricoperta delle stoffe comprate ad Antiochia. Mi
Entrarono nel porto di Bari nel pomeriggio della domenica 9 maggio, accolti da una folla festante. Ma dopo le manifestazioni di gioia, nacque il problema della persona a cui consegnare le reliquie. Salito sulla nave delle reliquie, l’abate benedettino Elia le prese in consegna con la promessa di tenerle nel suo monastero fino a che i capitani e il popolo non avessero preso una decisione. L’arrivo dell’arcivescovo Ursone due giorni dopo, invece di semplificare il problema, lo complicò, mostrandosi Ursone deciso a portare le reliquie in cattedrale. Il suo tentativo di impadronirsene provocò uno scontro armato con due morti e molti feriti.
Finalmente l’arcivescovo si rassegnò e concesse che il palazzo dell’antico governatore bizantino (catepano) venisse trasformato in chiesa, di modo che Nicola avesse in città un suo proprio tempio. I lavori iniziarono l’8 luglio e a dirigerli fu quell’abate Elia che poi, alla morte di Ursone (14 febbraio 1089) fu eletto arcivescovo dal popolo unanime. Il 1° ottobre del 1089 venne il papa Urbano II proveniente da Melfi e repose le reliquie sotto l’altare della cripta alla presenza dei conti normanni e della duchessa Sichelgaita. Intanto, con la sua Historia Translationis, rivolgendosi all’Europa Giovanni Arcidiacono annunciava: A tutte le chiese di Cristo rendiamo noto che … dalla città di Mira, trasportate per mare dai Baresi, sono giunte a Bari le reliquie di S. Nicola.
☦️Padre Gianni
(Fonte Basilica S. NICOLA)
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